Peter Piek, che in realtà si chiama Peter Piechaczyk, è un artista tedesco poliedrico ed eclettico.
Oltre a cantare, questo è il suo terzo disco, dipinge. A Lipsia, inoltre, ha fondato la comunità artistica PPZK.
Dotato di una voce, che è in perenne falsetto, collocabile tra Thom Yorke, Bon Iver e Sufjan Stevens in
“Cut out the dying stuff” utilizza il linguaggio di un pop-folk acustico ed avvolgente.
I brani hanno tutti un tocco morbido ed avvolgente, con delle varianti, come il saltellante rock dolce
e saltellante di “If this is the end” o il pop scarno e cadenzato di “Girona”, passando per le evocazioni
suscitate in “Leave me alone” o la romantica “(Ti O O)”. Piek gira molto, infatti, ha fatto oltre 500 concerti tra
Europa, Cina e Stati Uniti.
rockon.it, 2014saremo atterrati all’aeroporto di Girona per poi sorbirci un’ora e mezza di pullman fino al capoluogo catalano.
Pochissimi, i più curiosi, avranno invece rinnegato Barcellona per godersi la città aeroportuale, oramai
considerata un gioiellino della Costa Brava. Girona rappresenta la serendipità del turista, che trova una
città preziosa non cercata ed imprevista mentre sta andando a visitarne un’altra. È forse anche per questo
che Peter Piek ha dedicato una canzone alla città, mentre a noi ha regalato un disco che rappresenta in toto
la serendipità di cui abbiamo parlato poc’anzi: trovare un disco favoloso mentre se ne sta ascoltando un altro.
Oltre che musicista, il trentatreenne Piek è innanzitutto pittore, influenzato dall’impressionismo cubista di Karl Schmidt-Rottluff
e dalla fashion art di Ari Fuchs; nonostante ciò, “Cut out the dying stuff” rappresenta il terzo album del nostro,
dopo l’esordio di “Say hello to Peter Piek” e il seguito di “I paint it on a wall”. Lo stile, stravagante ed indie a un tempo,
si immerge nell’opera di Nick Drake, o in quella dei R.E.M., di Pete Townshend, dei Blur o, più in generale,
nel fenomeno del britpop. È questo un disco allegro e coloratissimo come un disegno di Keith Haring, pieno di
variazioni cromatiche come un’opera di Ernst Wilhelm Nay, sintetico ed iconico come la Marilyn Monroe di Andy Warhol.
I momenti musicali da citare stanno nella già citata opening di “Girona”, straordinario inno d’amore urbano con Matt Hopper
alla chitarra; nella title-track, ritmica e ritmata, con Peter Piek che si la aiutare dalle backing vocals di Danny Malone; in “Left room”,
ballata classica ma amorevole; in “If this is the end”, velocissima ballad indie rock con Leif Ziemann al basso; in “Analyse”,
interamente cantata in tedesco, lingua in apparenza poco incline al rock; in “Ti O O”, canzone della tradizione taiwanese
che parla di nonni, pesci e litigi (?); in “Green”, performata live assieme a Nanna Schannong; infine in “Alive”,
la canzone che più di tutte rappresenta quell’idea di circolarità audiovisiva tanto cara al nostro autore.
“Cut out the dying stuff” è uno di quei dischi che in Europa girano con notevole facilità, in quell’ideale entroterra che va
dai Pirenei alla Repubblica Ceca. Questo disco ha bisogno di locali piccoli e compatti, frequentati da aficionados,
gustando magari una birra media mentre Peter Piek, con la voce androgina e una band di tutto rispetto, esegue dal
vivo l’intera tracklist del disco. Sarebbe davvero una serata perfetta. Sarebbe…
storiadellamusica.it, 2014
Il poliedrico artista teutonico, polistrumentista, cantautore e pittore oltre che fondatore della comunità artistica del PPZK,
nato Peter Piechaczyk a Karl Marx Stadt, oggi Chemnitz, trentatré anni orsono, ricompare con un nuovo prodotto
disegnato sapientemente per elevare la sua sfavillante voce oltre la banale beatitudine. Una voce fantasticamente imperfetta,
almeno al primo ascolto e solo nella timbrica un po’ aspra ma che non impiega troppo a palesarsi in tutta la sua bellezza data
anche da un’ampiezza vocale non comune. La sua veste di artista a tutto tondo prende forma in fase compositiva e anche
durante le esibizioni live miscela musica e arte, facendo vedere foto scattate ascoltando brani e fornendo cuffie per udire i
brani che hanno suggestionato i suoi quadri. Musica e pittura e arte in generale che si compenetrano, vicendevolmente e
senza soluzione di continuità, lasciando emergere l’unica differenza tra le diverse espressioni artistiche rappresentata dal tempo.
Questa sua triplice (non disdegna neanche il ruolo di scrittore) veste lo porta spesso a girovagare per la Germania e il mondo
intero, dagli Stati Uniti alla Cina e proprio la promozione di Cut Out the Dying Stuff lo ha condotto anche a toccare i lidi della
nostra penisola.
L’album è il terzo capitolo della saga personale di Peter Piechaczyk, dopo Say Hello to Peter Piek del 2006 e I Paint It on a Wall
di circa quattro anni fa e rispecchia alla perfezione quell’aura d’internazionalità acquisita con le circa cinquecento esibizioni internazionali.
La stessa opening altri non è che un’innamorata dedica alla città spagnola (“Girona”) ma non mancano intromissioni in terra inglese,
cinese addirittura e ovviamente tedesca. Nonostante l’astrattismo possa essere definito come uno dei punti cardine per orientarsi
nell’oceano pittorico di Piek non si può dire lo stesso della marea di note che danzano dentro i dodici brani di Cut Out the Dying Stuff.
Al contrario, le liriche presentano strutture Pop melodiose e orecchiabili e raramente fuori dal comune e una forma canzone tutto
sommato canonica e anche troppo lineare, con una miscela tra strumentazione sostanziale e arrangiamenti e voce che ricalca le più
consone strade del Pop moderno che si affaccia presso i lidi del Contemporary R&B, del Pop Soul, del Cantautorato alternativo e dell’Indie.
Le canzoni di Piek nascono dentro dialoghi spirituali tra la parte più intima del sé e quella che è l’esteriorizzazione artistica della propria anima,
sulle orme dei grandi artisti del passato, da Neil Young a Dylan, da Nick Drake a Van Morrison, sempre però con una carica tipica piuttosto
di un certo Britpop in stile Oasis o Blur. L’opera di Peter Piek non è, dunque, destinata a cambiare le sorti del mondo,
neanche di quel piccolo universo chiamato Musica eppure trasuda amore e libertà, indipendenza che solo certi artisti possono
veramente sventolare come un drappo di vittoria al cielo, autonomia da etichette, mercato, autogestione espressiva totale e che
non necessariamente deve collimare con concetti legati all’estremizzazione di
avanguardie e sperimentazione. Un disco per chi ama, fatto da un innamorato.
Rockambula Webzine 2014
Chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle emozioni: la magia della musica, in fondo, sta tutta qui.
Poi si scopre che se si tenta di applicare questo semplice concetto agli album di Peter Piek, ci si trova per forza di cose di fronte ad una singolare eccezione.
Sì, perchè mentre siamo persi nell’ascolto di “Cut Out the Dying Stuff” e ci si sta iniziando a rallegrare per aver scoperto una talentuosa ed
interessante nuova cantautrice, dispiace anche dover provare un pizzico di rammarico nello scoprire che ciò che si stava ascoltando non è
opera di una Lei, ma di un Lui. Decisamente spiazzante. In quel momento, anche se non si dovrebbe, le idee iniziano a farsi un po’ più confuse
e si necessità di un po’ più di tempo per poter assimilare in modo corretto una personalità artistica del genere.
Poi si ascolta e riascolta una canzone come “Left Room” (anche se il video, spiace dirlo, non gli rende il giusto merito) e mentre il cuore
al caramello inizia a sciogliersi friggendo lentamente, ci si arrende di fronte al fatto compiuto che la forma è zero ed il contenuto è tutto.
In fondo non è certo colpa di Peter Piek, musicista ma anche pittore, se la sua voce si colloca per lo meno un’ottava sopra tutte le altre dei
suoi compagni maschietti. Tutte le altre distinzioni tendono al nulla, persino la sottile differenza che a prima vista si percepisce tra un dipinto
ed una canzone. Tutto svanisce nei confini del tempo.
Impato Sonoro, 2014
Peter Piek ovvero Peter Piechaczyk, pittore, musicista allo stesso tempo; arte e musica per lui sono inseparabili, ed è proprio
durante i live che il nostro mostra i disegni che ha realizzato, mentre durante i vernissage consente ai visitatori di ascoltare la sua musica
con delle cuffie, mentre questi ammirano i suoi quadri. Lavora quindi come musicista e pittore free-lance; dopo due album
pubblicati nel 2006 (Say Hello to Peter Piek) e nel 2010 (I Paint it on a wall) arriva il nuovo “Cut out the dying stuff”, un mix tra
brani intimi e di tipo minimalista e rock più strutturato. La sua musica è molto meno astratta dei suoi quadri e va dritta al cuore
dell’ascoltatore. L’album esce il prossimo 2 maggio 2014
Indie Eye, 2014
Peter Piek, che in realtà si chiama Peter Piechaczyk, è un artista tedesco poliedrico ed eclettico. Oltre a cantare, questo è il suo
terzo disco, dipinge. A Lipsia, inoltre, ha fondato la comunità artistica PPZK. Dotato di una voce, che è in perenne falsetto,
collocabile tra Thom Yorke, Bon Iver e Sufjan Stevens in “Cut out the dying stuff” utilizza il linguaggio di un pop-folk acustico ed
avvolgente. I brani hanno tutti un tocco morbido ed avvolgente, con delle varianti, come il saltellante rock dolce e saltellante di
“If this is the end” o il pop scarno e cadenzato di “Girona”, passando per le evocazioni suscitate in “Leave me alone” o la romantica
“(Ti O O)”. Piek gira molto, infatti, ha fatto oltre 500 concerti tra Europa, Cina e Stati Uniti.
rockon.it, 2014
Esce in questi giorni per Noise Deluxe Records, il singolo ed il video di "Tree", secondo estratto del nuovo album "I Paint it on the Wall".
Un brano incantevole videografato con un'intesità ed una umanità commoventi.
Il fortunatissimo secondo capitolo discografico di PETER PIEK, poliedrico incalzante protagonista della nuova scena musicale ed artistica tedesca,
ha già portato l'artista di Lipsia sui palchi di tutto il mondo attraverso un lunghissimo ed imprevedibile tour di 300 date tra Stati Uniti d'America ed Europa.
"Questa preziosa perla videografica, secondo stralcio del nuovo album, mostra un artista in grande crescita che se non ha smesso di giocare con la sua
indole rock, non ha nemmeno perso l'abitudine di dipingere storie di delicato impressionismo sociale. Un esercizio spontaneo che ha portato l'artista
a trasfigurare in musica quelle che sono le sue indubbie qualità di pittore. Questa la chiave, riassunta da un titolo che mai avrebbe potuto rivelarsi più
azzeccato, di PAINT IT ON THE WALL”.
Peter Piek nasce il 3 Aprile 1984 con il nome di Peter Piechaczyk a Karl Marx Stadt, oggi Chemnitz. Attualmente risiede a Lipsia dove ha fondato la
comunità artistica del PPZK che annovera elementi di grande spessore della scena culturale mondiale. Polistrumentista, cantautore e pittore eccezionale,
dal 2007 ad oggi il suo girovagare lo ha portato a conquistare ogni angolo della Germania, dell'Europa e degli Stati Uniti d'America.
Un tour perseverante all'interno del quale il gioiellino di Lipsia non ha mancato di dare a vita a due magici capitoli discografici. “Say Hello to
Peter Piek” è stato un esordio istintivo, incalzante, viscerale e gioioso. Un'eruzione compatta dalla quale sono emerse gemme di grande intimità.
Indimenticabile People we aren't free enough, ancora oggi vorremmo potesse essere su ognuno dei dischi che andiamo ad ascoltare.
Ora “Paint it on the wall” regala una visione piu' matura. Impossibile per Peter abbandonare l'esplosività degli esordi, ma questo disco presenta
una struttura sviluppata con incredibile drammaturgia e cura. Un mix imprevedibile di semplicità e destrezza. Una maggiore indole narrativa, quella del
nuovo Piek, che accompagna la toccante malinconia di parole che trattengono a fatica la sua innata indole euforica. Queste le fondamenta sulle quali
poggia le basi il nuovo capitolo artistico di Peter.
“Racconti di esperienze personali avvincenti che alternano le più suggestive storie di sconfitta, evidenziando le meravigliose potenzialità cantautorati del suo artefice.
Intervista a Peter Piek (06live.it 2012)
Sei un’artista molto giovane, eppure hai mille interessi e risorse… parlaci di te.
Sono nato nella Germania dell’est, in una città chiamata Karl-Marx-Stadt, il 3 aprile del 1984. Mi considero un artista, anche se la parola non mi piace più di tanto…
considero ‘arte’ ogni cosa vivente. Per questo di solito non é facile per un quadro o una musica diventare arte per davvero, mentre tutto quello che vive é naturalmente arte.
Le parole sono sempre dei compromessi… ma sì, la parola ‘artista’ può andar bene. Scrivo canzoni, dipingo.
Chi ti ha invogliato ad intraprendere il percorso artistico?
Nessuno in particolare. Da ragazzo avevo problemi a parlare. Mi impappinavo e balbettavo un casino. Avevo paura delle parole, trascorrendo così molto tempo nel mio mondo immaginario. Quando ripenso a quei tempi li trovo un po’ romantici: sognavo ad occhi aperti tutto il giorno, ma la mia incapacità di comunicare mi spingeva a cercare un’altra forma di dialogo. E’ nato così una sorta di dialogo artistico tra me e il dipinto (la canzone). Cercavo un altro modo per comunicare. Scrivere una canzone e dipingere per me é dialogare. Ancora adesso mi sembra di fare due chiacchere con quello che sto dipingendo. E quando restiamo entrambi senza parole, so che il dipinto (o la canzone) è terminato.
Peter è prima un pittore e poi un musicista, o viceversa?
Non saprei… a volte penso di essere un musicista che va pazzo per i colori e non ne può fare a meno… ma non é poi davvero così. Forse sono solo un pittore che ama suonare la chitarra, e scrive canzoni che parlano un pittore, che è lui… Ma d’altronde tutte queste parole sono solo categorizzazioni. Sono ancora giovane, e non voglio prendere posizioni definitive, voglio avere la possibilità di cambiare. Sono ancora in alto mare, chissà cosa può accadere. Forse un giorno girerò un film, o farò delle installazioni. Può succedere qualunque cosa, tutto dipende dall’opportunità che avrò in futuro. Oggi la libertà d’azione è una questione di soldi, e per ora non posso realizzare gran parte delle mie idee. Spero di riuscire a cambiare le cose in futuro. So solo di essere Peter Piek. E non sono neanche sicuro di questo.
A chi ti ispiri? Quali artisti ami di più a livello pittorico?
Ammiro parecchi pittori, dagli espressionisti tedeschi con cui sono cresciuto agli artisti moderni più vivaci, gli astrattisti e gli artisti informali. In particolare amo Ernst Wilhelm, lo trovo molto musicale! Possiede una struttura ritmica davvero adorabile. Anche il mio amico pittore Michael Goller è grandioso (ti consiglio di dargli un’occhiata: www.michaelgoller.com). Fondamentalmente mi piacciono tutti quelli che si basano più sul colore e sulla pittura che su una storia. Molti probabilmente pensano che la pittura astratta sia più facile, ma ti assicuro che non lo é affatto. E’ facile per quelli che ne sono capaci, si possono ottenere risultati molto diversi tra loro. Esistono quadri eccellenti e, ovviamente, quadri pessimi. Personalmente non mi interessa la narrazione nell’ambito della pittura. Io la penso così – se vuoi raccontare una storia, perché non scrivi un libro? O una canzone? Mi piacciono le storie. Ma la pittura, qualunque sia il suo significato, dovrebbe essere solo pittura. Sai, intendo davvero qualcosa di genuino.
E musicalmente parlando?
Sono cresciuto con Neil Young, Hendrix, e tutta la musica degli anni ’60. Più tardi, col Brit-pop: Oasis, Verve, Blur. Sono stato anche un fan sfegatato degli Smashing Pumpkins. Adesso non ho più un ‘artista preferito’, ma ho tanti interessi. Per esempio, amo le canzoni dei miei migliori amici musicisti, e posso parlarne con gli autori in persona! John Elliot, Danny Malone, Ladycop, Jolanda, tanto per citarne alcuni: sono tutti fenomenali.
Rock e impressionismo sociale…come li associ?
Non saprei… mmh… penso che tutto sia collegato. La musica è una parte importante della società, e la società é una parte importante della musica. Ma al giorno d’oggi, specialmente con la musica commerciale e l’industria concentrata sul prodotto e sul guadagno, sembra che rock e pop siano ciechi verso quanto accade nel mondo. Capisci, ci sono milioni di problemi e tutto quello che il rock ha da offrire è la solita canzone mediocre, che parla di rockstar, droga e altre cazzate. Non voglio più ascoltare quella roba, é noiosa e triste. Il rock non è morto, ma sta soffrendo parecchio. A volte vorrei che tutta l’industria musicale crollasse in un giorno, magari entro oggi. Così saremmo liberi da tutte queste stronzate fatte solo per vendere. Io conosco un sacco di band formidabili, che suonano e scrivono musica per la musica, non solo per riempire il mercato di roba scadente, confezionata nell’ufficio di qualche manager che crede di sapere cos’é pop e cosa no. E mi fa impazzire sapere che quello che viene pubblicato dalle riviste più importanti è solo un prodotto: puoi comprarti anche la prima pagina, se hai i soldi domani puoi diventare una star e ottenere buone recensioni. E’ tutto finto. Ma nonostante questo, Pop e Rock sono Arte! (anche in questo caso bisognerebbe trovare un altro termine per definirli).
Hai fondato una comunità artistica PPZK. Puoi dirci qualcosa?
Certo: PPZK è un progetto molto aperto fatto dagli artisti per gli artisti. Serve a sostenere i nostri progetti, presenti e futuri. L’idea di base è che noi artisti possiamo lavorare insieme, e insieme possiamo realizzare qualcosa di più che da soli. Serve a collegare le opere d’arte alle persone. Per essere davvero onesto, é cominciato tutto con l’architettura. Amo l’architettura, il mio hobby é quello di camminare per la città e progettare degli edifici a memoria… E quando il progetto é pronto, penso: a cosa serve? E questo è il momento in cui nasce PPZK. L’idea più importante è che PPZK sia una piattaforma per connettere cose. Io per esempio tento di connettere musica e pittura. Penso che ci sia bisogno di connettere sia cose che persone. Onestamente penso che ci siano moltissimi collegamenti poco impiegati tra le arti. Prendi per esempio la musica e la recitazione: tanto tempo fa, in Italia credo, qualcuno li ha messi insieme inventando l’Opera. E’ musica e rappresentazione, ma al contempo é qualcosa di totalmente unico. Questo è solo un esempio, ma credo davvero che ci siano tantissime espressioni artistiche da scoprire, e noi abbiamo la possibilità di farlo. Forse il PPZK stesso diverrà un nuovo melting pot. E’aperto a tutte le nuove proposte, anche tu che stai leggendo sei invitato a partecipare al network: www.ppzk.de
Ho letto che sei polistrumentista! Quali sono i tuoi strumenti?
Suono il piano, la chitarra, la batteria e il basso. Mi piacciono tutti allo stesso modo. Una volta ho pensato di mettermi a suonare il saxofono, ma ora come ora sono soddisfatto di non averlo ancora fatto. Altrimenti la mia musica sarebbe piena di assoli di saxofono… non sarebbe un granché.
Paint it on the wall è il titolo del tuo ultimo lavoro…cosa vuoi comunicare attraverso i brani che contiene?
Hm. Penso a tutte le mie canzoni come canzoni d’amore; anche se non sembrano proprio tutte canzoni d’amore; anche se alcune riguardano il desiderio di morte (Underwater Death Song); anche se alcune parlano di politica. O del tempo, e il non averne abbastanza. Le mie canzoni parlano spesso di cose mortali. Ma questo riguarda la vita. E’ un buon motivo per le persone per creare: tutto quello che ci circonda é mortale, le stagioni, i fiori, tutto invecchia. Questo mi spinge a creare qualcosa che mi possa sopravvivere. E’ la mia corsa contro il tempo. L’Arte dev’essere in grado di vivere altre vite in altri luoghi. Quindi il disco parla soprattutto di creazione. Il fatto stesso di creare implica l’amore per la vita. La mia musica e il mio disco parlano di questo.
Tree è il secondo singolo estratto. L’albero è un importante simbolo artistico e antropologico…e il brano?
Tree parla di molte cose: di me da bambino, sperduto nel mio mondo, di come le cose cambino quando diventi adulto. La canzone é ricca di immagini, not tutte specifiche. Parla di distruggere le cose, di soldi e capitalismo, del fatto che a volte ci sentiamo perduti e non sappiamo più cosa fare. Un albero è una cosa molto bella. Vive in modo così diverso da noi… Muta solo durante i cambi di stagione… nessuna fretta.. nessuna urgenza… il vento nelle foglie. Le ultime parole della canzone sono: “E’ la vita che ci confonde. E la paura della morte. Vivi nel nome dell’amore.” Che altro si può dire?
Hai in programma concerti? In Italia?
Sì, e sono molto contento di questo. In Aprile inizierò il mio più grande tour italiano, che arriverà fino a Napoli. Per ora non sono mai stato più a sud di Roma. Non vedo l’ora di cominciare il tour! La mia amica musicista Jolanda tramite Broken Toys – Torino ha organizzato tutto quanto. Questo tour fa parte del programma ‘Artist for Artist’.
Quale messaggio vuoi lasciare a chi ti ascolta e a chi ti scoprirà? Salutiamoci così e buon lavoro!
Vorrei dire soltanto che vivere é una bella cosa, ma bisogna volerlo. L’amore è tutto quello che abbiamo. E se vi va, sarei felice se i nostri percorsi si incrociassero. Provate ad ascoltare la mia musica e, se vi piace, fatela girare, aiutate la musica indipendente a restare viva. L’arte indipendente è nelle mani delle persone indipendenti. Voi siete il centro del vostro mondo e lo sarete sempre. Dipende da voi.
Peter lo avevo conosciuto il giorno prima durante un suo bellissimo live (accompagnato da una scarna, ma decisiva sezione ritmica) all' Exfila. Voce melliflua e viso da ragazzino, anche lui perennemente in viaggio nella speranza di far avvicinare più gente possibile alla sua musica e al suo mondo, caratterizzato anche da pittura e arte. Peter non doveva suonare ieri, ma visto che era a zonzo l'ho invitato a fare qualche pezzo prima di David e Tizio e lui, ovviamente, non si è lasciato sfuggire l'occasione.
Prima domanda, sempre la solita: ti va di parlarci un po' di te?
Certo, sono nato in Karl-Marx-Stadt (l'attuale Chemnitz, ma adesso vivo in Lipsia), ho studiato musica per un bel po' di tempo. Nell'ultima settimana durante i concerti mi ha accompagnato Christopher, un ottimo batterista svizzero che aggiunge quel tocco in più al live set, ma di solito vado a giro a suonare da solo, adesso per esempio sono in tour da quasi un mese e mezzo in cui ho suonato tutti i giorni, la maggior parte delle volte solo io e la mia chitarra.
Sei stanco?
Sì un po', ma venire in Italia è sempre bellissimo. A parte il cibo e l'ospitalità ottima, qui ci sono dei paesaggi veramente mozzafiato. Una volta ero a suonare in un posto (di cui non ricordo il nome) dove potevi vedere da un lato un enorme lago e dall'altro i monti innevati, veramente bellissimo.
Cosa ne pensi della scena musicale italiana?
Della scena musicale non saprei, non sono molto informato, ma penso che sia meglio di quanto tutti gli italiani che ho incontrato pensino. Nei club poi l'accoglienza è sempre stata ottima: ho avuto anche bevute gratis e cibo, cose che in Germania le band non famose non sempre riescono ad avere.
Che ti piace ascoltare quando non sei a giro a suonare?
Per la maggior parte ascolto gruppi di amici miei o di persone che ho conosciuto a giro, come Danny Malone, altrimenti un sacco di roba vecchia: Hendrix su tutti.
Come riesci a bilanciare la pittura con l'arte?
Non le separo, cerco di mescolarle: prendendo spunti da entrambi gli ambiti.
Sei rimasto soddisfatto del tour?
Sì, moltissimo. Anche qui in Italia sono stato a suonare in posti fantastici: Roma, Lecco, Firenze sono alcuni dei posti in cui mi sono trovato meglio, ma spero di tornare e rifarli tutti!
Tommi 'Jena' Fantoni 2012